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Sordello di Goito
[1199 circa - 1269]

Sordello di Goito

 

Biografia
Un altro personaggio illustre di Palena è il Cavaliere Sordello di Goito, notoriamente citato dal grande Dante Alighieri nella Divina Commedia.
Dal volume "Palena nel corso dei secoli" di Mario Como:
"...Dopo la signoria di Bonifacio di Galiberto (I), il Castello di Palena fu donato da re Carlo I d’Angiò al suo fedele e prode Cavaliere Trovatore: Sordello di Goito, che aveva seguito il “vecchio Alardo” nella guerra contro il re Manfredi per la conquista del Regno di Napoli, nel febbraio del 1266. Nel diploma di tale investitura si legge: ...SORDELLO DE GODDO, MILITI, CONCESSIO CASTRI PALENE IN APRUZZO XXX - VI - MCCLXIX..."
"Buon cantore e buon musico, uomo di persona avvenente e incline alle avventure d'amore" lo definisce una "Vidas" del tempo. Carducci, secoli dopo, dichiara: "Fra gli italiani che poetarono in provenzale il più insigne o, se vogliamo, il più fortunato è Sordello da Mantova, uno di quei poeti che fan risplendere come sole tutto ciò che toccano, un di quei il cui canto vince di mille secoli il silenzio". Il poeta trobadorico Sordello è nato a Goito, in località Sereno e viene ricordato da Dante nella "Divina Commedia" dove, nel VI Canto del Purgatorio, si legge dell'incontro con il sommo poeta Virgilio. Della creazione sordelliana non è giunto molto a noi: una quindicina di liriche, diverse canzoni ed inoltre il poemetto "Ensenhamens d'onor" ed un "Compianto" in morte di Blacatz, tradotto quest'ultimo in vane lingue e, allora, diffusissimo. Moltissimi scrissero di Sordello ma soltanto tre hanno lasciato cose rilevanti e complete: Cesare de Louis nel 1896, Giulio Bertoni nel 1938 ed il nostro concittadino Emilio Faccioli la cui opera, davvero pregevole, ha visto la luce nel 1994 ed è stata il fulcro dei festeggiamenti con i quali Goito ha onorato Sordello, le cosiddette Manifestazioni Sordelliane.
Sordello da Goito fu un trovatore dell'Italia settentrionale (territorio di Mantova), che si ispirò nella sua attività poetica al modello provenzale, ed adottò la lingua d'oc per i suoi versi. La data di nascita è incerta ma deve verosimilmente porsi all'inizio del XIII secolo. Dopo vari anni vissuti presso corti dell'Italia settentrionale, si rifugiò in Provenza dove trascorse la maggior parte della vita. Grazie a Carlo I d'Angiò poté ritornare in Italia come signore di alcuni feudi abruzzesi. Qui morì nel 1269. Ci restano di lui 42 liriche di argomenti vari, con presenza significativa sia del tema amoroso, sia del tema politico, e un poemetto didascalico, Ensenhamen d'onor (Precetti d'onore). Il testo più famoso è il Compianto in morte di ser Blacatz, elogio funebre di un signore provenzale che proteggeva i trovatori. La fama di Sordello è dovuta principalmente al ritratto che poeticamente ne delineò Dante Alighieri nei canti VI, VII e VIII del Purgatorio.


Compianto in morte di Ser Blacas
Così è intitolato comunemente il componimento Compianto in morte di Sire Blacatz (Poesie) del più famoso trovatore italiano, Sordello da Goito (n. 1200 circa - m. dopo il 1269). È un sirventese, di cinque strofe monorime di otto dodecasillabi ciascuna, con due commiati: composto fra il 1236 e il 1237. Morto è Blacatz, il gentile, ricco, generoso protettore di trovatori e trovatore egli stesso; vuol piangere Sordello la fine del suo signore e buon amico e riparare a così dannosa perdita, giacché con la morte di lui sono scomparse tutte le nobili qualità. Altro modo non v'è se non di offrire il cuore del morto in pasto ai baroni che ne son privi: così racquisteranno valore e ardimento. Ne mangino dunque l'imperatore di Roma (cioè di Germania) e il re di Francia, il re d'Inghilterra e il re di Castiglia, il re di Aragona e quel di Navarra, il conte di Tolosa e il conte di Provenza. una . È una sferzata violenta e implacabile questa di Sordello, altera di un sentimento più di sfida che di missione, e come posta al riparo di un amore di donna: Bel Ristoro, conchiude il poeta (e sotto quel nome galante di fantasia è difeso forse quello vero di una Guida Rodez) Bel-Ristoro, sol ch'io possa trovar mercé presso di voi, non mi curo di chi non mi tiene per amico. L'invenzione del cuore mangiato è antica, forse di origine asiatica: e dopo Sordello se ne trovan tracce in molti testi. Ma nel trovatore mantovano il motivo è originalmente arguto e mordente, sarcastico; rinnova gli schemi tradizionali dell'elogio, riuscendo la lode del morto indiretta, sicché, come fu notato, di Blacatz non si fa che il nome: perciò piacque il sirventese ai Contemporanei, e fu due volte imitato. A Dante suggerì forse la ragione essenziale perché l'anima sdegnosa e solitaria di Sordello venisse tanto celebrata nel "Purgatorio".


Poesie
Della personalità di Sordello da Goito (n. 1200 circa - m. dopo il 1269) abbiamo tre immagini. La prima è quella delineata dal vecchio biografo, che lo raffigura come gentil "cattaneo" (castellano), avvenente uomo della persona, buon cantore e buon trovatore e grande amatore, ma "mont truans e fals vas domnas e vas los barons ab cui el estava". Rapitore - per volontà di Ezzelino - di Cunizza, sorella di Alberico ed Ezzelino da Romano e moglie del conte di S. Bonifazio, poi seduttore di Otta di Strasso, suscitò ire e brame di vendetta; per cui dovette lasciare la gioiosa Marca di Treviso e andarsene in Provenza, dove si allogò presso il conte Raimondo Beringhieri IV e amò una bella provenzale per cui compose, dice sempre il biografo, molte buone canzoni, chiamandola con il "senhal" di "dolce nemica". Un avventuriero, insomma, il Sordello (v.) raffigurato dall'antico biografo, press'a poco come molti altri appartenenti al mondo della scapigliatura, della "bohème" trabadorica. La seconda immagine di Sordello è quella che ci viene offerta da due solenni documenti. Uno è il "breve" del 22 febbraio 1261 con cui Clemente IV pontefice rimprovera a Carlo d'Angiò - che aveva conquistato il regno di Sicilia e di Puglia - la sua ingratitudine verso i baroni provenzali che lo avevano aiutato nell'impresa. Tra i quali, ridottisi, per l'egoismo dell'Angioino, in ospizi destinati ai mendici, il pontefice ricorda anche Sordello: "Langue a Novara Sordello, il tuo „cavaliere" che sarebbe da acquistare se non t'avesse reso servigi, non che riacquistare per i servigi che t'ha reso". L'altro documento è la lettera del 5 marzo 1269 con cui Carlo d'Angiò concede in feudo a Sordello da Goito "suo diletto cavaliere familiare e fedele" alcuni castelli dell'Abruzzo; a giustificare la propria liberalità, l'Angioino allega i "grandi, grati e accetti servigi" resi da Sordello al suo signore. Per queste testimonianze autentiche noi riconosciamo un Sordello che, dopo il suo passaggio in Provenza prima alla Corte di Raimondo Beringhieri e poi al seguito del genero di costui, Carlo d'Angiò, è divenuto personaggio di primo piano; come del resto ci conferma il fatto che il nome di Sordello, sempre preceduto dalla qualifica di "Dominus", figura in molti solenni documenti emanati dal conte di Provenza. La terza immagine è la figurazione grandiosa che del nostro trovatore fa Dante nel VI del "Purgatorio": dove Sordello, come ha scritto il Novati, "sull'alta ripa dell'Anti-pargatorio, disdegnoso ed immoto nella leonina attitudine... ci appare" come "colui nel quale il poeta s'è piaciuto incarnare il più sublime tra tutti gli affetti umani..., l'amore per il suolo natale". Tra la prima e questa terza immagine c'è contrasto deciso: remoto da questo che Dante pone come il tipo del cittadino eletto è il Sordello, falso verso donne e baroni e pronto a rendere a Ezzelino bassi servigi, che ci ha rappresentato il vecchio biografo, il cui racconto appare confermato dalle invettive mordaci e dalle maldicenze che contro il trovatore pronunciano i poeti rivali. Ma tra le due immagini sta quella che ci offrono il breve pontificio e la lettera regale: per cui riconosciamo che non restò fermo Sordello alle follie scapigliate e alle miserie della giovinezza, e divenne in Provenza cavaliere nobile e austero, familiare e consigliere di principi e gran signore, sì da giustificare a pieno la figurazione dantesca. E l'opera sua poetica - quarantacinque composizioni liriche e un poemetto didattico, l'"Ensenhamen d'onor" - ha tono nobile ed elevato: resta, cioè, del tutto lontana dallo spirito scapigliato della giovinezza del poeta. Le poesie amorose rivelano dell'amore una nozione molto vicina a quella di Guilhem Montanhagol (Canzoni di Montanhagol). Per quanto in qualche poesia usi Sordello modi ed espressioni lascive, l'amore ch'egli canta è, in generale, platonico, purissimo amore: tanto che nulla nei suoi versi ci lascerebbe riconoscere il rapitore di Cunizza e il seduttore di Otta. Arriva persino Sordello a supplicare la sua donna a negargli "tutto ciò che potrebbe essere contrario a ciò ch'ella deve", protestando ch'egli preferisce "soffrire che attentare al suo pregio", e dichiarando che nessun cavaliere può amare la sua dama con cuore non ingannatore, se al pari della sua donna non ama l'onore dì lei. "Sapete - proclama il poeta - da che si riconosce una donna dotata di pregio e di valore? Da ciò: che nessuno osa chiederle il suo amore. Solo le folli e le malvage ognun prova e tenta... Ma a una donna onesta, nessuno osa manifestare il suo desiderio". A lui basta essere illuminato dal riflesso delle virtù di colei che ama: "Ella niente mi concede: ma accresce il suo pregio e il suo onore; e ciò tengo per sufficiente ricompensa". Un amore, dunque, etereo e puramente ideale, che fa presentire lo Stil novo. Ma più che le poesie d'amore è noto di Sordello il Compianto in morte di ser Blacas, lirica fiera e infocata - che può aver suggerito a Dante la figurazione di un Sordello leonino, altero e disdegnoso -, dettata a ridar "coraggio" ai principi e ai re del suo tempo, "scorati" e ignavi, i quali dovrebbero cibarsi del cuore del morto Blacatz a riacquistare cuore e valore. Un sentimento nobilissimo della vita si riflette anche nell'"Ensenhamen d'onor", in cui il poeta con parole elevate insegna le norme del viver eletto; e anche questo poemetto può aver suggerito a Dante l'idea di un Sordello magnanimo e nobilissimo. Di Sordello pronuncia Dante un elogio anche nella Volgare eloquenza, esaltando, appunto, l'eloquenza del trovatore, che "non solo poetando, ma pur in qualsiasi maniera di discorrere, amò illeggiadrire il proprio dialetto mescendo suoni e termini trascelti dai dialetti dei territori finitimi" a Mantova. Questo giudizio dantesco ha indotto alcuni critici a ritenere che Sordello abbia poetato anche in volgare italiano, forse prima della sua andata in Provenza; e il Bertoni ritenne di poter appunto attribuire a Sordello un notevolissimo "sirventese lombardo" da lui scoperto; e sarebbe documento del volgare "illustre" che, secondo il giudizio di Dante, Sordello avrebbe usato "in poetando" oltre che "quandocumque loquendo".

 

Fonti
"Palena nel corso dei secoli" - Mario Como**

Sito Web - Wikipedia - Sordello da Goito

Sito Web - Comune di Goito

Sito Web - Letteratura Italiana - Trecento


**Volume consultabile nella biblioteca del Museo, opportunamente allestita.

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